
La storia siamo noi,/siamo noi che scriviamo le lettere,/siamo noi che abbiamo tutto da vincere e tutto da perdere./E poi la gente (perché è la gente che fa la storia),/quando si tratta di scegliere e di andare,/te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,/che sanno benissimo cosa fare:/quelli che hanno letto milioni di libri/e quelli che non sanno nemmeno parlare;/Ed è per questo che/la storia dà i brividi,/perché nessuno la può fermare. (IMMAGINATELA CANTATA DA FRANCESCO DE GREGORI)
Ho preferito che queste bellissime parole venissero cantate da chi le ha scritte, perché la musica – quell’arte capace di unire parole e note – rende molto meglio il senso di questa giornata.
Una giornata – quella di oggi – in cui celebriamo ottant’anni da quel 25 aprile del 1945 che ha ridato libertà e dignità al nostro Paese.
Una giornata, quella del 25 aprile, in cui – citando il Professor Barbero, un altro che sa usare le parole con maestria e precisione – “non si celebra solo l’insurrezione dei partigiani che hanno liberato le città italiane, si celebra la fine della guerra, la sconfitta dei tedeschi, la distruzione della tirannia nazifascista.
Questo – continua Barbero – si celebra il 25 aprile e si celebra il fatto che grazie all’insurrezione dei partigiani l’Italia che quella guerra l’aveva cominciata dalla parte sbagliata dalla parte vergognosa, dalla parte di quelli che poi hanno fatto le camere a gas e i forni crematori, l’Italia, almeno un pezzo d’Italia, è riuscita a combattere e anche a morire stando dalla parte giusta.”
Ma tornando alle parole e alle note iniziali, con “La Storia” Francesco De Gregori ci invita a celebrare le azioni delle persone comuni, uomini e donne, giovani e adulti, che fino a qualche minuto prima di diventare partigiani, mai avrebbero pensato di entrare da protagonisti nella Storia del nostro Paese.
Uomini e donne che ad un certo punto però, come canta sempre De Gregori, quando si è trattato di scegliere e di andare si sono fatti trovare con gli occhi aperti, hanno saputo riconoscere quale era la parte giusta e quale fosse la posta in gioco.
La Storia però ha sempre celebrato gli eroi, i capi, le personalità più in vista.
Questa mattina racconterò di tre persone che con il loro impegno e la loro lealtà hanno contribuito a regalarci il dono più prezioso che un popolo possa avere: la Libertà.
Tre persone diverse, per età, sesso e professione. Tre persone che rappresentano tre modi diversi di combattere e sconfiggere il nazifascismo. Tre persone con destini diversi, a cui dobbiamo il nostro grazie.
Il primo grazie lo voglio rivolgere alle donne partigiane il cui ruolo nella lotta di Liberazione è stato per anni taciuto. Eppure, secondo una stima prudenziale, sono state settantamila, le donne che hanno scritto pagine e pagine di resistenza femminile.
In un ciclostile clandestino del 1944 diffuso tra val Sangone e la pianura fino a Orbassano apparve una lettera firmata semplicemente “Una Garibaldina”, in cui l’autrice rivendicava, con fermezza e con onore, l’importanza e il sacrificio delle ragazze e delle donne nella lotta partigiana di liberazione. «Passare i posti di blocco con le munizioni nella valigia – scrive la Garibaldina – significa rischiare la fucilazione immediata, in questa nostra lotta ci sono compiti difficili e rischiosi in cui occorre calma, sangue freddo, capacità e in cui si può perdere la vita nello stesso modo che partecipando a un’azione di guerra».
Oggi qui con voi voglio ricordare la nostra staffetta Cecilia, nome di battaglia Lulù, che ci ha lasciato qualche anno fa e che molto manca a questa piazza.
Cecilia ha fatto la staffetta partigiana in Francia, a Nizza, dove il padre era emigrato dalla Liguria per non sottostare alle leggi fasciste.
Lì entrò giovanissima – all’età di soli 14 anni – nella Resistenza. Il suo compito era ciclostilare – fotocopiare diremmo oggi – il materiale di propaganda della stampa clandestina e recapitarlo in più punti della città rischiando, ad ogni viaggio, di essere scoperta dai tedeschi occupanti.
Cecilia usava la bicicletta per i suoi compiti e, come ci ricorda in una testimonianza video curata qualche anno fa dal Consiglio Regionale, lo faceva cantando, perchè pensava che una quattordicenne che cantava in bici non poteva destare sospetti. Non era una sprovveduta, era assolutamente cosciente del suo ruolo perchè come ci raccontava spesso era cresciuta a “pane e antifascismo”.
Oggi Cecilia non è qui con noi, ma sono certo che starà pedalando con il sorriso sul volto intonando Bella Ciao.
Alla guerra di Liberazione hanno partecipato anche i militari, e tra questi molti Carabinieri. Fu una situazione particolare, la loro, in un’Italia spaccata in due, con al sud gli anglo-americani e al nord i tedeschi, la Repubblica sociale e le formazioni partigiane.
Tra chi aderì alla Resistenza, tra chi disse “no” all’arruolamento forzato nelle squadre della RSI, tra chi pur continuando a vestire l’uniforme lavorò fianco a fianco con le reti clandestine di resistenza alla fine si contarono 2.735 caduti e più di seimilacinquecento feriti. Tutti conosciamo l’esempio e il sacrificio di Salvo D’Acquisto. Il 23 settembre del 1943 il giovane vice brigadiere era in servizio a Torrimpietra quando una brigata di soldati tedeschi catturò alcuni civili italiani durante un rastrellamento, minacciando di fucilarli in risposta a un presunto attacco partigiano. D’Acquisto, che all’epoca aveva solo 23 anni, si offrì al loro posto e i tedeschi lo giustiziarono.
A lui, al suo estremo sacrificio, molte Città, tra cui Rivalta, hanno dedicato piazze, strade, giardini, monumenti.
Forse meno conosciuta ma altrettanto significativa è la storia di un altro militare, catturato dalla Gestapo a Roma nel 1944 e fucilato alle fosse Ardeatine.
Il tenente colonnello Giovanni Frignani era particolarmente inviso al regime, perché fu uno dei pochi a indagare su alcuni episodi di corruzione all’interno del governo di Mussolini. Le sue indagini si concentrarono sull’operato del ministro dell’Agricoltura Carlo Pareschi e andarono così vicine alla verità che il regime, pur negli ultimi anni di agonia, cercò in ogni modo di ostacolarlo. Mussolini dispose il suo trasferimento, ma proprio il tenente colonnello Frignani fu uno dei militari che il duce si trovò di fronte il 25 luglio del 1943, quando, appena uscito da Villa Savoia, venne arrestato e trasferito alla scuola allievi carabinieri in Prati.
Sempre lui scortò Mussolini fino al carcere sull’isola di Ponza.
Un arresto che non gli fu mai perdonato dal regime: dopo l’8 settembre fascisti e nazisti si misero sulle sue tracce. Arrestato a seguito di una denuncia venne prima torturato al comando nazista di via Tasso e poi destinato alla fucilazione nella rappresaglia delle fosse Ardeatine. Una vita, la sua, sicuramente troppo presto dimenticata, riscoperta e raccontata in un saggio dello storico Mario Avagliano che arricchisce la narrazione e la ricostruzione della lotta antifascista e ce la restituisce più completa e precisa.
Sono passati 80 anni dalla morte di Secondo Mellano, partigiano rivaltese ucciso dai repubblichini il 6 marzo del 1945. Secondo Mellano era nato a Gerbole il 9 dicembre del 1921. Anche lui come Cecilia fino ad allora non aveva conosciuto altro che il fascismo, la parola democrazia e libere elezioni non sapeva cosa fossero. Dopo aver frequentato le scuole elementari a Rivalta aveva lavorato a Torino, in due negozi di proprietà della famiglia. Durante la guerra aveva fatto ritorno a casa per lavorare nei campi. Costretto ad arruolarsi nella Repubblica Sociale Italiana e trasferito a Cigliano, nel vercellese, aveva presto disertato dal suo reparto per tornare a Rivalta.
Qui, presi contatti con la resistenza, era entrato a far parte della Brigata Garibaldi. Sorpreso durante una retata organizzata dai repubblichini che avevano fatto irruzione nel teatro parrocchiale, venne arrestato il 4 marzo del 1945 e condotto nuovamente a Cigliano. Condannato a morte, per lui venne scelto un plotone di esecuzione composto dai suoi ex commilitoni. «Questi, però – scrive don Franco Ferro Tessior nel suo libro “Rivalta di Torino, mille anni di storia” – si rifiutarono di fucilarlo e allora venne ucciso con la pistola dell’ufficiale che comandava il plotone».
La Città di Rivalta ha intitolato alla memoria di Secondo Mellano la via dove ha vissuto con la sua famiglia. Sono contento che aver riscoperto la storia di Secondo, che abbiamo raccontato sui nostri strumenti di comunicazione, lo abbia fatto conoscere a molti che ignoravano il suo sacrificio.
Cecilia Troga, Giovanni Frignani, Secondo Mellano. Tre eroi della Liberazione, chissà quanto consapevoli, a quel tempo, di essere destinati ad entrare nella Storia, di costruirla, materialmente, con le loro azioni.
Abbiamo il dovere morale di non umiliare il loro sacrificio, di tenere alto per i prossimi ottant’anni il loro messaggio di libertà e giustizia, perché, come scrisse Norberto Bobbio, “Dopo venti anni di regime e dopo cinque di guerra, eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà..”.
Viva l’Italia antifascista, viva la lotta partigiana, viva il 25 aprile!
Credits: Omar Viara per le foto scattate in piazza Martiri. Grazie e bravo!










