
Un ringraziamento a Nicoletta, la nostra instancabile assessora alla cultura, a Valentina Calò, preziosissima responsabile della biblioteca e delle attività culturali, al resto della mia Giunta e a tutte le tante realtà associative – Anpi in testa – che in questi mesi hanno voluto dedicare all’ottantesimo anniversario della Liberazione un po’ delle loro iniziative e costruito insieme a noi un ricco calendario di eventi. E’ stato fin’ora un percorso coinvolgente ed appassionato che ha toccato tanti luoghi di Rivalta e altrettanti ambiti della vita sociale della nostra Città.
Grazie, grazie e ancora grazie.
Oggi siamo a Gerbole ad inaugurare questo bellissimo murale dipinto da due artisti che ormai sono diventati anche due amici: Vito Navolio e Francesca Nigra in arte Nice and the Fox.
Abbiamo scelto il 2 giugno – Festa della Repubblica – per il forte valore simbolico che questa meravigliosa opera porta con sé e per l’intensa connessione sentimentale che ha con la giornata di oggi.
E abbiamo scelto di realizzarlo su questi muri che hanno ospitato fino a circa 20 anni fa un deposito di artigliera del Ministero della Difesa. Quella che vedete ancora in piedi, dietro di me, è stata per molto tempo la casa del Maresciallo. Il nostro sogno è trasformarlo in un luogo di accoglienza, cultura e saperi. Diventerà, prima o poi, l’Arsenale della Pace di Rivalta.
Vito e Francesca hanno voluto dare il loro contributo al nostro ottantesimo attraverso questo vaso rotto da cui nasce, anzi ri-nasce, una nuova vita.
Il vaso rotto simbolo delle macerie da cui è risorta la nostra Patria dopo gli anni del regime e quelli ancora più insultanti della guerra al fianco del regime nazista. Macerie che non erano solo materiali – paesi distrutti, milioni di sfollati, fame e povertà diffuse -; ma anche e soprattutto morali.
Lo ripeto sempre, perché il ricordo di quel che è stato e del ruolo che abbiamo svolto in quel tragico conflitto deve rimanere indelebile, noi siamo stati per troppo tempo dalla parte sbagliata della Storia, e solo la Guerra di Liberazione – uno straordinario movimento di popolo che decise di sfidare e ribellarsi alle angherie e alla sopraffazione – ci ha consentito di sederci, seppur con uno strapuntino, al tavolo delle forze alleate.
Eh sì, ricordiamocelo e ricordiamolo.
Se non abbiamo fatto la fine della Germania – divisa in due tra Occidente e Unione Sovietica fino al 1989 – o del Giappone che è stato occupato fino al 1952 dalle potenze alleate, lo dobbiamo esclusivamente alla lotta antifascista.
Fu grazie a quella straordinaria pagina di storia che Luigi Einaudi, da Presidente del Consiglio, fu invitato nell’agosto del 1946 a Parigi alla conferenza di pace.
Due passaggi rendono chiaro, secondo me il senso di quanto accaduto, e se ci sforziamo possiamo vederli rappresentati benissimo in questa opera.
Così De Gasperi aprì il suo intervento nel 1946 a Parigi: “Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa ritenere un imputato.”
Le sentite anche voi le macerie del nostro Paese in queste poche parole. Lo sentite anche voi il vaso che il fascismo ha frantumato in oltre vent’anni di dittatura. La sentite anche voi la vergogna.
Eppure alla fine, in quella occasione tanto solenne quanto drammatica, De Gasperi chiede fiducia e lo fa con la a nome del popolo italiano schiena dritta: “È in questo quadro di una pace generale stabile, Signori Delegati, che vi chiedo di dare respiro e credito alla Repubblica d’Italia: un popolo lavoratore di 47 milioni è pronto ad associare la sua opera alla vostra per creare un mondo più giusto e più umano”.
Ecco qui i fiori, i papaveri simbolo della lotta partigiana, la nuova vita. Ecco qui la Repubblica che nasce, chiede rispetto e fiducia e chiede anche scusa.
Una Repubblica, lo ricordavo oggi al monumento degli alpini, nata con il voto degli italiani che hanno scacciato con una matita una Monarchia indegna. Una Repubblica che ha nell’uguaglianza uno dei suoi principi fondamentali. Una Repubblica da cui è nata la nostra Costituzione, una tra le più belle carte fondamentali che gli stati si sono dati, che per usare le parole di Pietro Calamandrei, – “non è una carta morta, ma un testamento, un testamento di centomila morti.”
La bellezza dell’arte è quella del suo linguaggio universale.
E quindi ognuno di noi, davanti a questo murale, può riconoscere le sue piccole o grandi macerie che ha raccolto durante la vita. E anche le rinascite che siamo riusciti a costruirci.
L’augurio è che presto, anzi prestissimo, potremmo vedere in questi papaveri la rinascita dei tanti paesi e popoli in conflitto nel Mondo: dalla striscia di Gaza, all’Ucraina; dal Sudan al Myanmar.
Non ne possiamo più di vedere morte e distruzione, fame e povertà.
Chiudo, prima di passare la parola a Nicoletta riprendendo le parole di un grandissimo artista che su questi temi ha lasciato opere di una grandezza infinita. Pablo Picasso diceva che “L’arte lava via dalla nostra anima la polvere della vita quotidiana”.
Il mio auspicio è che quando passeremo qui davanti riusciremo a toglierci la polvere della nostra quotidianità, per indignarci e combattere per le troppe macerie che ancora affliggono l’umanità.
Grazie Francesca e grazie Vito.
Viva la Repubblica.
Viva il 2 giugno.
Viva l’Italia.




