
Ho chiesto a Danila di leggere questi versi, scritti dal marito Antonio un anno e mezzo fa, perchè con la sintesi propria delle poesie, con l’urgenza che queste hanno di arrivare all’anima delle persone, ci accompagnano, senza giri di parole, al motivo per cui abbiamo sentito l’urgenza, stasera, di incontrarci.
Siamo qui per ricordare la nostra cara concittadina Susy – figlia, sorella, mamma, amica – uccisa da chi le giurava amore e per interrogarci sul perché questi eventi si ripetono con un ritmo incessante e colpiscono anche la nostra apparentemente calma e tranquilla Rivalta.
Tutti abbiamo letto il ritratto che giornali e televisioni hanno fatto di Susy: una ragazza solare, lavoratrice, premurosa nei confronti del figlio Simone, amorevole verso i suoi genitori Antonio e Dora. È stata una sorella preziosa anche per Giuseppe e Pietro. Pietro Carbone, anche lui ci ha lasciato troppo presto, dopo una vita che già gli aveva tolto molto.
Una famiglia, quella di Susy, che ancora una volta, pur piegata dal dolore e dalla sofferenza, ci consegna una grande testimonianza di dignità e coraggio.
Ci vuole coraggio, sì, ce ne vuole proprio tanto di coraggio a portare in piazza il corpo di una figlia, di una sorella, di una mamma.
Ci vogliono coraggio e dignità a offrire a una comunità, che da giorni si sta interrogando attonita, quello che è innanzitutto un fatto privato.
Ci vogliono coraggio e generosità nel volersi lasciare abbracciare e confortare dai tanti che sono qui stasera, che, ancora increduli e sotto shock, hanno bisogno tanto quanto voi di essere abbracciati e confortati.
Per questo vi dico a nome della comunità rivaltese “grazie”.
Grazie per averci dato l’opportunità di promuovere questo momento collettivo di riflessione.
Grazie per permetterci di condividere con voi questo dolore.
Grazie per averci insegnato cosa significa sentirsi parte di una comunità.
Vi giunga anche da qui l’abbraccio forte dei vostri concittadini e di quanti hanno voluto raggiungere questa piazza, perché scossi e feriti da quanto successo.
Non possiamo però limitarci questa sera a piangere e rendere omaggio a Susy. Occorre che da qui – dalla piazza in cui Susy con il figlio Simone ogni martedì apriva il suo banco di pasta fresca – scatti una molla, una scintilla, affinchè diventiamo noi stessi agenti di quel cambiamento culturale che è necessario, ma ancora così lontano dall’essere realizzato.
Dobbiamo smettere di pensare che il maschilismo, il patriarcato e le violenze di genere siano problemi che appartengono sempre a qualcun’altro.
Stiamo vivendo questa sera quanto questo non è vero. Lo dicono i numeri. Ad oggi sono 54 le donne uccise per femminicidio, donne uccise in quanto donne e solo perché donne.
Quasi una ogni tre giorni.
Queste morti non sono più un fatto isolato. Non rappresentano più un’emergenza. Sono un fatto sistemico.
È terribile quello che ho detto, ma è così. Un’emergenza inizia e finisce. Un’alluvione inizia, finisce, lascia i suoi drammi umani e materiali, certo. ma poi si passa alla fase della ricostruzione. Queste morti invece non finiscono mai.
Lo diciamo sempre in queste occasioni, e allora diciamocelo anche stasera:
Dobbiamo smettere di usare le parole sbagliate.
Dobbiamo educare i giovani e i meno giovani all’affettività e alla gestione dei conflitti senza rincorrere stereotipi odiosi e radicati anche nella nostra cultura perbenista.
Dobbiamo ricominciare un percorso di alfabetizzazione democratica.
Una gelosia morbosa non è romanticismo.
Un ragazzo che piange non è una femminuccia.
Una ragazza in minigonna non è una poco di buono.
“Ogni donna merita un uomo che le rovini il rossetto, non il mascara”, diceva Marilyn Monroe tanti anni fa.
Lo dico da Sindaco, da marito, da uomo e da papà.
Non sarei onesto con me stesso e con voi se vi dicessi che non ho paura quando Alice esce la sera, che vorrei conoscere tutto degli amici che frequenta, che le faccio sempre mille raccomandazioni.
E altrettanto vale per Tommaso. Ma sto davvero facendo il possibile perché diventi un ragazzo e un uomo responsabile e attento? La società in cui vive che stimoli gli trasmette? Che atteggiamento devo usare con lui? Sono pronto a cogliere ogni sfumatura del suo essere?
Non sarei onesto con me stesso e con voi se dicessi che sempre i miei comportamenti sono stati all’altezza. Chissà quante volte con un aggettivo sbagliato, un comportamento superficiale, una richiesta non accolta ho ferito e deluso una donna. Chissà quante volte con la scusa del cameratismo maschile ho giustificato volgarità, apprezzamenti sessisti o battute stupide. Leggevo in un blog in questi giorni, cercando una giustificazione che non c’è, che certo c’è sempre il consueto abisso tra una frase sgradevole e una mano che colpisce, ma la mano – dice giustamente il blogger – riceve la sua forza da tale humus comportamentale.
Alda Merini, una delle più importanti poetesse del secolo scorso – per anni rinchiusa dalla nostra società in un manicomio – così scriveva: «Siamo state amate e odiate, adorate e rinnegate, baciate e uccise. Solo perché donne».
In queste quattordici parole c’è tutto il senso di impotenza delle donne e tutta la presunta onnipotenza degli uomini.
Ma il mio ruolo e il mio compito è anche quello di accompagnare questa comunità, farla crescere e lasciarla, se possibile, migliore. E oggi non posso che registrare un arresto, violento, in questa crescita.
Ha ragione Elena Cecchetin sorella di Giulia, studentessa di 22 anni uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, quando dice che: “Il femminicidio non è un delitto passionale. Il femminicidio è un delitto di potere. Il femminicidio è un omicidio di Stato perché lo Stato non ci tutela e non ci protegge”.
Ed oggi mi sento più che mai parte di quello Stato messo giustamente sul banco degli imputati. Dove eravamo quando Susy cercava di aiutare il suo compagno. Dove erano i servizi socio sanitari che dovrebbero curare le persone. Dove eravamo noi, che non ci siamo accorti che questa debolezza poteva far scattare una molla impossibile da fermare.
Dobbiamo fare di più, ma dobbiamo farlo tutti insieme. Troppo spesso gli incontri e le iniziative di prevenzione contro la violenza sulle donne, persino nelle piazze, vedono una scarsa partecipazione.
Dobbiamo fare di più, ma dobbiamo farlo tutti insieme.
Dobbiamo farlo oggi.
Dobbiamo farlo perché questa società diventi più umana e perché il sacrificio e il ricordo di Susy non restino un ricordo che evapora in fretta.
Per questo continueremo a promuovere iniziative di informazione, sensibilizzazione e conoscenza del fenomeno: lo faremo nelle scuole con i progetti di educazione all’affettività, nei centri giovani e lo faremo con incontri aperti a tutti.
Lo faremo con un richiamo nella comunicazione a Susy, un hashtag #inricordodisusy accompagnerà le nostre iniziative. Chissà che quanto successo non ci aiuti a vincere la pigrizia e il pensiero che tanto a noi episodi del genere non possono capitare.
Viviamo tempi insopportabili, forse ci salverà solo lo stare più vicini.
Lo scrive una mia carissima amica in una delle tante chat in cui si commenta la vicenda di Susy.
Rendiamo il tempo che ci è dato vivere su questa terra più sopportabile, più umano, più giusto.
Stiamo e restiamoci vicini, costruiamo relazioni, parliamoci di più.
Facciamo in modo che da questa immane tragedia rinasca un nuovo senso di comunità.
Grazie












