
Benvenuti a tutte e tutti e grazie per aver accolto il nostro invito a partecipare all’inaugurazione di via Orsini 1. Un edificio che ospiterà un progetto di convivenza di sette giovani ragazze a cui diamo il nostro più caloroso benvenuto.
Sono Jasmine, Michelina, Jessica, Sara, Francesca, Giulia e Irene e arrivano da Rivalta, Bruino e Piossasco. In questi giorni hanno già iniziato a prendere confidenza con la loro nuova casa.
Questo bellissimo edificio, che tra poco vedremo anche all’interno, è stato tante cose nel corso della sua lunga vita: un forno e una panetteria nel 1600, una spezieria nel 1840, una farmacia fino al 1970. E poi edicola e sede di alcune associazioni.
Dall’inizio di questo secolo è in stato di abbandono. In molti ricorderanno l’impalcatura e il telo verde che per anni ne hanno coperto le vergogne. Oggi, finalmente, anche per lui inizia una nuova vita.
Via Orsini 1 è, forse, la testimonianza del fatto che le cose non accadono mai per caso, né solo per fortuna, anche se quest’ultima è meglio averla che non averla.
Chi amministra – un comune, un’associazione, una cooperativa, un’azienda – sa che per raggiungere gli obiettivi, anche i più ambiziosi, servono visione, relazioni e velocità. “Velocità” nel cogliere le occasioni e nel decidere. “Relazioni” con chi può metterti a disposizione risorse e opportunità. “Visione” per comprendere quali sono le esigenze del tuo territorio.
E così è stato per via Orsini 1. La “velocità” nel cogliere un bando del PNRR, la “visione” e l’analisi dei bisogni, le “relazioni” che il CIdiS ha costruito intorno a un progetto che non riguarda solo la riqualificazione strutturale di un edificio. Di questo parleranno la direttrice del Consorzio Elisa Bono ed il Responsabile della Cooperativa Coesa Roberto Caggiano, con i quali abbiamo condiviso le gioie e i dolori che ogni cantiere porta con sé.
Mi permetto di rivolgere agli amici della Cooperativa Coesa un ringraziamento particolare – c’è qui con noi il Presidente Daniele Alberti – per aver voluto contribuire al cofinanziamento dell’intervento. I Sindaci e gli amministratori presenti sanno bene che i soldi del PNRR sembrano tanti, ma alla fine non bastano mai.
Ma questa mattina siamo qui non solo per inaugurare nuovi spazi.
Siamo qui perché vogliamo che questo progetto porti con sé il nome e il cognome di una persona che per la nostra comunità e per il nostro Paese ha dato molto: Mimmo Lucà.
Un nome e un cognome, Domenico Lucà, che a questo progetto, insieme a quello analogo di Orbassano, ha dedicato gli ultimi mesi della sua attività, un luogo di accoglienza e speranza, uno spazio di inclusione che parla di futuro.
Voglio ringraziare pubblicamente Giovanna, Marco e Daniele per aver accolto e accettato questa nostra volontà. Per aver condiviso l’idea, donando alla città di Rivalta il nome e il ricordo di Mimmo, e con il nome la sua storia.
Era molto affezionato Mimmo questo progetto.
Me lo ha ricordato suo figlio Daniele il giorno del suo funerale quando al termine della cerimonia laica che gli abbiamo tributato mi ha raccontato di quando al rientro dall’Ospedale per tornare a casa gli ha chiesto di passare qui davanti per spiegargli cosa stava succedendo a quelle mura e cosa sarebbe successo dentro.
In questi lunghi otto mesi da quel triste 13 febbraio ho partecipato ad alcuni momenti in cui la vita pubblica di Mimmo è stata raccontata da persone più autorevoli di me. È stato un esercizio molto utile.
Utile per scoprire meglio la persona che, io e con me molti di quelli che sono qui stamattina, hanno conosciuto come il parlamentare della nostra zona e come il presidente del Consorzio Socio Assistenziale.
Il convegno organizzato a Roma a inizio ottobre dalla Fondazione Achille Grandi e dalle Acli ci ha restituito l’identità e il lascito politico e umano di Mimmo, nato e cresciuto in quel cristianesimo sociale che ha plasmato tante trasformazioni della politica e della vita ecclesiastica degli ultimi tre decenni. Lo hanno ricordato bene, tra gli altri, gli interventi di Livia Turco, di Gianni Cuperlo, di Romano Prodi, che ha più volte sottolineato come dovesse tenere a freno le iniziative e le richieste di più welfare e più giustizia sociale che Mimmo rappresentava costantemente durante i suoi governi.
I palazzi della politica romana sono lontani da Rivalta. Noi, da piemontesi nonostante tutto ancora bogianen, siamo abituati a guardare l’ombelico in cui viviamo. E Mimmo, per primo, non ha mai ostentato né tanto meno si è mai compiaciuto del ruolo e del contributo che il suo impegno e la sua sensibilità hanno dato al progresso del nostro Paese.
«Mimmo – lo ha ricordato Gianni Cuperlo – era consapevole che tutte le grandi trasformazioni chiedono alla politica la fatica di riorganizzare il pensiero e di strutturarlo sul tempo che ci è dato da vivere».
L’uguaglianza, non solo le pari opportunità. Una tensione politica ispirata dalle lezioni di don Milani. Questo era il suo credo politico, l’obiettivo da raggiungere, il cuore del suo impegno prima nell’associazionismo cattolico e poi nelle aule parlamentari.
«L’inclusione – ci ha detto qualche anno fa Papa Francesco – dovrebbe essere la “roccia” sulla quale costruire i programmi e le iniziative delle istituzioni civili perché nessuno, specialmente chi è più in difficoltà, rimanga escluso. La forza di una catena dipende dalla cura che viene data agli anelli più deboli».
Per comprendere il significato di un gesto piccolo come l’intitolazione di questa struttura dedicata alla promozione di percorsi di vita autonoma, primo passo verso la realizzazione di soluzioni dedicate al “dopo di noi”, mi piace ricordare un suo pensiero del Natale 2021, in cui ci invitava ad “andare incontro ad un tempo nuovo, ricco di sfumature, di colori, di compagnia, di senso, di fiducia. Ci saranno ostacoli, fatica, avversità e ci saranno passaggi critici.” scriveva su Facebook. Era vero allora e poco è cambiato, ma da oggi abbiamo qualche strumento in più per affrontarli.
Non viviamo in un tempo di pace. I venti di guerra si fanno sempre più insistenti. Distruzione, morte e fame sono immagini che quotidianamente entrano prepotentemente nelle nostre case.
I conflitti che siamo tutti chiamati a risolvere, appianare, prevenire sono prima di tutto quelli che minano la coesione e la solidarietà dentro il nostro vivere collettivo.
La comunità è sinonimo di pace. E per costruirle, entrambe, servono mattoni. Tanti. Oggi inauguriamo uno di questi tasselli. Ecco perché abbiamo scelto di coprire la targa con una bandiera arcobaleno. Sarà di buon auspicio per il grande lavoro di integrazione e solidarietà che comincia oggi.
Rivalta di Torino, 25 ottobre 2025







